King Crimson – In The Court Of The Crimson King

in the court coverKing Crimson
In The Court Of The Crimson King
Island

Release: ottobre 1969

Di Trambusti Luca
Voto: 9

L’attacco di “21st Schizoid man”, il brano di apertura del disco di esordio dei King Crimson, è uno dei più noti ed impressionanti della storia del rock.

L’esplosione della chitarra e del sax arrivano improvvise dopo una ventina di secondi di silenzio e rumori e squarciano l’aria con una potenza (ma non violenza) incredibile trasmettendo inquietudine e un certo senso di paura.

Da quella partenza così forte in bilico con l’hard rock si dipana l’intero brano segnato da assoli di chitarra, interventi di sax, basso profondo ed una batteria che punta verso certi passaggi jazz. Su tutto poi la voce di Greg Lake, distorta e urlata che ben interpreta la drammaticità del testo (violenza, guerra ed alienazione dell’uomo del 21 secolo) firmato da Pete Sinfield.

Siamo nel 1969 certi suoni ed il relativo approccio erano assolutamente sconvolgenti per l’epoca ma quello che colpisce è ancora oggi, dopo tanti anni e tanta musica, la potenza, l’energia e l’attualità di questa traccia.

Con un attacco di questo genere “In The Court Of The Crimson King” non poteva che entrare a pieno titolo nell’olimpo dei dischi rock (certo dirlo oggi è facile). Ma non bastava quel brano perché alcune delle restanti poche tracce (in termini numerici) che compongono l’Lp sono anch’esse di ottimo livello.

Dalla cacofonia conclusiva del primo brano di apertura ci si aspetta che arrivi chissà cosa ed invece Fripp e soci cambiano completamente registro presentando “I Talk to The Wind”, un’ottima ballata delicata, raffinata di grande apertura melodica che contrasta con il brano precedente. Le atmosfere sono sognanti, la chitarra di Fripp è delicata ed arpeggiata e s’intreccia con un flauto suadente e le melodie vocali di Lake.

Un rullo di timpani, un arpeggio di acustica ed elettrica ed “I Talk to The Wind” entra senza soluzione di continuità nel successivo brano “Epitaph”, altra lunga traccia del disco, una delle due meno significative dell’album per una questione di “ordinarietà”. Chiarisco di suo è una buona canzone ma annegata in questo contesto non riesce a bucare sebbene abbia delle belle parti strumentali e sia molto aperta dal punto di vista melodico. L’andamento anche qui in generale è tranquillo con alcuni crescendo che però non esplodono mai ed anzi implodono. L’elemento principale, a sostegno della chitarra, dei fiati e delle melodie, che caratterizza il brano è il mellotrono, le rivoluzionarie tastiere (ricordiamoci che siamo nel ’69) che riproducevano il suono orchestrale.

La seconda facciata (del vinile) si apre con “Moonchild” una lunghissima traccia di oltre 12 minuti (la più lunga dell’album) che dopo pochi minuti si appesantisce con una noiosissima e lunghissima parte rumoristica e minimalista sperimentale francamente inutile che rende difficile l’ascolto.

Ma basta una rullata per farci entrare in un altro mondo quella corte del re Cremisi di “Court Of the Crimson King” con un’apertura sinfonica che fa impennare nuovamente il livello del disco. Un altro attacco epocale, cui segue uno sviluppo del brano molto arioso e vario, tra impennate melodico/sinfoniche e continui cambio di ritmo e di atmosfere tra flauti e chitarre. Altro brano di grandissima qualità. Riporta alla mente, sopratutto nelle parti vocali corali e sulla chiusura, certe atmosfere che si ritroveranno pochi anni dopo nei primi album dei Genesis (già presenti in “Epitaph”).

Altro appunto sulla copertina dell’album (uno di quei casi in cui la versione vinile, per dimensioni, offre il meglio di se). Anche qua siamo in odore di capolavoro e di immagine assurta a ruolo iconico. Il doppio disegno è di Barry Godber, un ventitreenne che morì per un attacco cardiaco l’anno successivo. I due disegni, che furono portati alla band dal paroliere Pete Sinfield, sono contrapposti tra loro. All’esterno questa faccia deformata ed urlante che esprime bene l’inquietudine di alcune parti del disco mentre il disegno interno è più quieto, calmo e consolatorio, come l’altra parte di questo album capolavoro. Ovviamente il colore dominante è il rosso cremisi.

“In the Court Of The Crinson King” è un album capolavoro ma anche pietra miliare di quel genere definito Progressive Rock che si svilupperà al meglio ed al massimo nei primi anni ’70 sino poi ad essere spazzato dalla furia del punk. Siamo agli albori, anzi alle fondamenta. Ci sono tutti gli elementi tipici di quello stile: il muoversi tra rock, musica classica, jazz e melodia, il dilatare dei tempi ben oltre il classico minutaggio della canzone (3,4 minuti) ed introducendo ampie “finestre” strumentali ed innovative soluzioni sonore legate al neonato connubio elettronica e musica.

Riascoltarlo oggi ha ancora un suo perché ed un piacere di fondo.


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