Neil Young – Harvest

Harvest coverNeil Young
Harvest
Reprise Records

Release: Febbraio 1972

Voto: 9

Harvest è il quarto album solista di Neil Young (già con i Buffalo Springfield) in realtà registrato mentre il canadese era ancora parte del quartetto con Crosby, Still & Nash. Il disco, oltre ad essere citato da moltissime fonti come una pietra miliare o comunque uno dei più importanti dischi della musica rock, è anche il maggior successo commerciale di Neil Young che arriva al top delle hit anche con un singolo “Heart Of Gold” diventando anche il disco il più venduto di quell’anno.

Forse non è il più bel lavoro in termini “tecnici e compositivi” di Young ma lo è per pathos e per eleganza e comunicativa ed è forse il suo album più “popolare”.

Sostanzialmente il disco è un percorso nel country rock con parecchie deviazioni e personali elaborazioni che lo rendono molto vario.

Dopo un forzato tour acustico Young si ritrova con una buona abilità in questo genere. Con questo bagaglio atterra a Nashville per partecipare allo show televisivo di Johnny Cash. Lì, nella patria del country, lo convincono e si convince (grazie anche alla forza della scena della città) a registrare quello che aveva scritto e lo fa con una formazione molto semplice: un batterista, un bassista ed un pedal steel guitar player (nascono gli Stray Gators, gli alligatori randagi). Il disco prende dunque forma e sostanza in città per poi concludersi in un altro studio improvvisato (un fienile rappresentato nella foto del retro di copertina). Il suono è ovviamente fortemente influenzato dal luogo e lo stesso Young si lascia prendere. Insomma anche il canadese è uno dei tanti artisti passati per quella città, quel suono, quella atmosfera piena di fermento, lasciandosi contaminare e facendosi stimolare da tutto questo e dando vita ad un suono tipico ed inconfondibile che mischia sapientemente elementi country con quelli tecnici e tematici del rock.

L’iniziale “Out Of The Weekend” e la stessa title track ne sono due meravigliosi esempi, con la steel guitar che si accompagna all’acustica.

Ma in Harvest non ci sono solo questi suoni acustici, c’è anche la London Symphony Orchestra che appare in due brani, c’è la chitarra elettrica e ci sono molte tematiche spinose ma anche comuni alla scrittura del canadese. Si parla di droga, di razzismo, di amore (anche se in questo caso fu accusato di “sessismo”), di rapporti generazionali, di patriottismo, il tutto spesso coperto da un velo di ironia.
E’ proprio “Alabama”, il brano con riferimento al razzismo, che “irrita” i Lynyrd Skynyrd i quali due anni dopo pubblicano in risposta la loro “Sweet Home Alabama” .

Harvest resta un disco di grande suggestione all’interno del quale ci sono temi artistici caratteristici per Neil Young, questo suo muoversi tra elettrico ed acustico, con canzoni di grande suggestione e con la capacità di colpire e restare in testa a lungo.

Ancora oggi a distanza di molti anni quel disco è attuale, non sembra risentire della patina del tempo e conserva una freschezza all’ascolto che lo rendono un disco memorabile (peraltro al pari di molti altri di Young, che tuttavia – sopratutto negli ’80 – ha scritto anche cose inascoltabili).

Harvest vede la presenza di numerosi e prestigiosi ospiti: Graham Nash, Linda Rostadt, David Crosby e Steven Still ci mettono la voce, James Taylor il banjo a 6 corde (Old Man) e Jack Nitzsche alla chitarra, chitarra slide (Are You Ready for the Country?), pianoforte, tastiere e si occupa degli arrangiamenti orchestrali (A Man Needs A Maid e There’s a World).

A parte forse la troppo ridondante There’s a World il disco ha brani epocali come Heart Of Gold, Old Man, Harvest, l’elettrica Alabama e la drammatica The Neddle And The Damage Done (sull’eroina) e si conclude con un brano atipico per il disco: la lunga cavalcata e dialogo elettrico di Words dove si trovano suoni e stile che faranno parte del successivo periodo Crazy Horses.

Chi, musicalmente parlando, ha vissuto gli anni ’70 sa che Harvest è stato un album di svolta per Young e per il suo pubblico, chi invece non ha dimestichezza con quel periodo e vuole partire da qualcosa di facilmente fruibile può trovare in questo disco un valido esempio di concezione sonora, artistica, discografica ed intellettuale su ciò che è stato un certo rock in America (e quindi nel mondo) in quel periodo nonché un ottimo lavoro dello stesso Young.

Imperdibile


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